martedì 10 aprile 2012

Ho catturato la storia dell'Adda

Lungo il corso dell'Adda, dopo l'ansa di Cornate, c'è un luogo incantato, un punto che ispirò probabilmente a Leonardo da Vinci il fondale della sua prima Vergine delle Rocce. Un po' più in là, risalendo il fiume controcorrente, poco dopo il castello di Trezzo, ecco il luogo dove il Manzoni colloca la fuga di Renzo nella terra di San Marco nei suoi Promessi sposi.
Il fiume, il paesaggio, la gente: partono da qui le storie che il trevigliese Mario Donadoni, fotografo, grafico, appassionato di storia ed esperto di tecnologie digitali, ha voluto raccontare nel suo L'Adda da Lecco al Po (Hoepli, pagine 190, euro 39). A dare ritmo e respiro a questa storia è l'insolito mezzo che Donadoni ha scelto per la sua ricerca: la mongolfiera. «Quando ho iniziato questo lavoro – spiega – mi sono accorto subito che il fiume è difficile da inquadrare: dall'alto si può abbracciare con lo sguardo e se ne possono cogliere l'azione e il movimento, come se fosse un organismo vivente».
È un mezzo speciale, che chiede lentezza, pazienza, pensiero: «Mi sono fatto accompagnare da un esperto – spiega Donadoni –, Carlo Rovelli di Vimercate. Abbiamo ragionato insieme sulle riprese: bisognava scegliere il tempo e il punto adatto. Volare in mongolfiera è entusiasmante e in un certo senso fa tornare bambini. Ma è anche un gioco complesso di altezza e di correnti. La direzione del viaggio la stabilisce il vento».
Non è solo una scelta tecnica, ma anche contenutistica. Il risultato sono 105 scatti che mostrano lo scorrere del paesaggio, catturandone i mutamenti, interpretandone la ricchezza e il fascino composito.
Ci sono gli scorci rinascimentali nel tratto bergamasco, la Brianza industriale, la pianura ricca coltivata del Lodigiano fino agli ultimi chilometri, quando l'Adda si getta nel Po.
L'idea che ha dato lo slancio al libro è stata una delle mostre che Donadoni ha allestito per l'Ecomuseo Adda di Leonardo. «Mi sarebbe piaciuto seguire l'intero corso dell'Adda - spiega lui - magari in futuro lo farò». Del resto questo non è il suo primo lavoro: ha già firmato La luce dell'Adda. Questa volta si è limitato a seguirne lo sviluppo attraverso la pianura «e inizialmente volevo fermarmi al tratto bergamasco, poi invece ho passato i confini, seguendo il fiume fino al Po». Il suo libro non è però soltanto una raccolta di - pur bellissime - fotografie.
Prima di salire sulla mongolfiera Donadoni ha assaggiato il territorio, l'ha percorso camminando, ha cercato a lungo, raccogliendo storie. «L'esplorazione dall'alto – continua – mi ha aiutato ad allargare lo sguardo: ho scoperto canali di cui non sospettavo nemmeno l'esistenza, come il Canale Vacchelli, che è come un'autostrada azzurra che prende l'acqua dall'Adda e la porta altrove, e va ad alimentare una delle produzioni agricole più ricche del mondo. Per me, che ho vissuto tra Casirate e Treviglio, il fiume è una presenza familiare. Mi ricordo, per esempio, che quando ero piccolo mio zio doveva svegliarsi alle quattro del mattino perché nei campi arrivava l'acqua. C'è tutto un mondo che gira intorno al fiume, ci sono per esempio i canali sotterranei, che nessuno conosce, opere straordinarie d'ingegneria».
Il viaggio in mongolfiera, lento, meditativo, ha aiutato Donadoni a fare delle scoperte: «Anche dopo mi ci è voluto un bel po' di lavoro per capire che cosa esattamente avevo visto e fotografato dall'alto: questo paesaggio è il frutto di un lavoro millenario».
Mario Donadoni ci fa vedere il fiume con lo sguardo dei pescatori; traccia la storia della diga di Olginate come un «rubinetto» che regola il flusso dell'acqua. Sfata qualche luogo comune, come la leggenda che il progettista del ponte di Ferro tra Paderno d'Adda e Calusco alla fine del lavoro si sia buttato di sotto (è falsa, ma tutti gli studenti pendolari in treno sulla linea per Milano via Carnate l'hanno sentita almeno una volta). E ancora l'autore trevigliese ripercorre i tempi in cui i tram andavano «ad acqua»: erano alimentati dalla centrale idroelettrica Bertini, costruita sull'Adda da Giuseppe Colombo nel 1885, una delle prime in Italia. Poi spiega i pregi difensivi della doppia parabolica tracciata dal corso del fiume nel punto dove è sorto il castello di Trezzo e racconta le avventure di Bernabò Visconti, che lo portò all'apice dello splendore. Nel percorso lungo l'Adda non poteva mancare una sosta al villaggio industriale di Crespi d'Adda, uno dei primi siti italiani ad essere scelti dall'Unesco come patrimonio dell'umanità, accanto a un ritratto di Silvio Crespi che fu, nella sua vita, inventore, imprenditore, legislatore, uomo politico e industriale.
«Il paesaggio visto dall'alto - osserva Donadoni - è come un tessuto creato dal lavoro dell'uomo. Ogni tanto io ho tirato un filo e seguendolo ho trovato delle storie». Il racconto di Donadoni si allarga al mondo e torna a stringersi sull'Adda, in una sequenza di inquadrature che attraverso arte, storia, economia, letteratura e costume seguono l'andamento della mongolfiera: si sale e piano piano l'orizzonte si allarga. Si distingue meglio l'insieme, ma si vedono anche i particolari. E così ecco affiorare dal passato vicende curiose come quella del campione del Milan Andrea Bonomi, detto «Ciapin», che a dieci anni rischiò di annegare dell'Adda e fu salvato nientemeno che da Valentino Mazzola, che aveva quattro anni più di lui, e che poi diventò famoso come capitano del grande Torino. Oppure storie che attraversano i secoli, come quella delle tante battaglie combattute fin dall'antichità a Cassano perché proprio là c'era un punto in cui si poteva attraversare l'Adda: le prime, tra i romani e i Galli insubri, le racconta lo storico greco Polibio. Secoli dopo sono passati di lì Federico Barbarossa ed Ezzelino da Romano. Nel 1705, una carneficina: nello scontro tra l'esercito imperiale asburgico guidato da un savoia, il principe Eugenio e quello francese guidato da Luigi Giuseppe di Borbone-Vendome morirono cinquemila soldati.
«Il mio - sottolinea Donadoni - non è uno sguardo selettivo: ho fotografato anche le discariche, che dall'alto diventano quasi belle. Il fiume è un veicolo di civiltà e mi piaceva l'idea di farlo conoscere meglio anche a chi ci vive accanto: magari siamo stati più volte a New York ma non conosciamo il punto in cui l'Adda finisce nel Po».


Pothos

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